31 marzo 2022

MIDNIGHT MASS

While you’re at it, ask him why he always takes the kids, while the drunk fucks walk away with scratches.
 
Midnight Mass dà il via alle danze, macabre, con un incidente stradale. Le luci dello skyline metropolitano, e il corpo di una giovane ragazza steso a terra con attorno i paramedici intenti a rianimarla, fanno da sfondo all’introduzione del primo personaggio di questa storia, Riley Flynn (Zach Gilford). Seduto a bordo strada, ammanettato, assiste attonito al tragico epilogo del suo mettersi al volante in stato di ebbrezza. Ad una certa, inizia a pregare. Il poliziotto che lo sorveglia gli suggerisce, già che c’è, di chiedere ai piani alti per quale motivo a rimetterci siano sempre gli innocenti, mentre, chi innocente non è, ha, tendenzialmente, sempre salva la pelle.
 
Già nei primi fotogrammi, Midnight Mass anticipa quelli che saranno alcuni punti di riflessione del girato di Mike Flanagan, vale a dire l’impossibilità di comprendere il disegno divino e l’imperscrutabilità delle sue ragioni. Insieme al successo mondiale delle Crocs, probabilmente uno dei grandi interrogativi dell’umanità destinati a rimanere insoluti.
 
Ammesso e concesso vi sia un divino da considerare, naturalmente.



I don’t even carry a gun. And still… Still Beverly Keane and a few others too look at me like I’m Osama bin-Fucking-Laden.
 
Dopo quattro anni in carcere, Riley fa ritorno alla casa natale, dai genitori, Annie (Kristin Lehman) ed Ed (Henry Thomas), e dal fratello Warren (Igby Rigney), a Crockett Island, un villaggio di pescatori in declino: classico posto dove il più giovane sta per morire, 127 anime e una chiesa, la parrocchia di Saint Patrick. Un ritorno che non aspira a rappresentare una rinascita, ma, al contrario, sembra suggellare la presa di coscienza della totale impossibilità di riprendere la vita di prima e sopprimere ogni speranza nel futuro. Di certo la locandina di Seven affissa al muro della camera da letto giovanile di Riley non è di conforto. La sua famiglia è un rifugio sicuro, ma è chiaro come la piccola comunità dell’isola non lo sia altrettanto. Il personaggio di Joe Collie (Robert Longstreet), a tal proposito, testimonia tale azione sanzionatoria della società: vive in solitudine ai margini del villaggio, la sua principale compagnia é la bottiglia, le uniche interazioni avvengono col suo cane Pike e, non a caso, con lo Sceriffo Hassan (Rahul Kohli), musulmano, un altro outsider della comunità, l’unico che sembri disposto a provare un minimo sindacale di empatia nei suoi confronti. Come Riley, anch’egli ha una colpa difficile da espiare e questo fardello, agli occhi della comunità, sembra definire Joe Collie come persona. Al di fuori della propria colpa, per la società non si esiste. Tu sei la tua colpa. O quella che gli altri ti attribuiscono.

 
Il senso di colpa non sembra accomunare solo questi due personaggi, ma, anzi, si rivela essere un fardello sulle spalle di diversi individui domiciliati a Crockett Island. Una sorta di conditio sine qua non locale, se ne sei provvisto sei rimandato sul continente.
 
Abbiamo il personaggio di Erin Green (Kate Siegel), infatti, una giovane donna, incinta e sola, un ulteriore esempio di figliol prodigo rimpatriato sull’isola, che ha costruito la sua vita con un senso di colpa indotto dalla madre, per essere nata, per essere figlia e per aver tarpato le ali alla libertà materna. Nello sviluppo della storia, il suo è un personaggio chiave per diverse ragioni, ma il carico da novanta viene messo sul piatto quando rivela a Riley questo sentimento di colpa innestato dalla madre, con tutto quello che ne è derivato, per il suo solo “essere”, per il suo solo “esserci”. Ho il sospetto che la genitrice non si sia qualificata come madre dell’anno, ma si sa che quella del genitore è la missione più ostica del mondo.


Can you think of a miracle more amazing than that? I mean, cure blindness, sure. Or part the seas, all right. But a second chance? That’s a real miracle.
 
Sul medesimo traghetto sul quale viaggia Riley, un altro personaggio sbarca su Crockett Island: si tratta di Padre Paul Hill (Hamish Linklater), giunto sull’isola per sostituire l’anziano Monsignor Pruitt, in condizioni di salute avverse dopo un impegnativo pellegrinaggio. Il suo insediamento, dopo un’iniziale perplessità ed indifferenza, inizia a far affollare i banchi della canonica, grazie al suo placido carisma e, soprattutto, ad una rinnovata fede conseguente ad una serie di eventi inspiegabili, per non dire miracoli.
 
La fede ha sì una natura intangibile, ma qui sembra avere obiettivi molto concreti.
 
Marketing applicato prosaicamente alla religione da Padre Paul, con l’investitura degli isolani in soldati dell’esercito di Dio, con la possibilità attraverso la fede, qui celebrata come un vero e proprio prodotto, con caratteristiche e benefici, di diventare la versione migliore di sé stessi, ricompensati da prodigi incredibili ed insperati, oppure un invito a credere omaggiando San Tommaso, nello specifico la sua formula “se non vedo, non credo”, qui declinata nella constatazione “ora che avete visto, dovete credere”? Da una placida noncuranza al fanatismo il passo è assai breve. D’altronde, quando si hanno le prove… 


Ma perché Crockett Island deve credere? Le ragioni sembrano essere di natura collettiva, votate al bene della comunità, alla sua salvezza, ma, come di frequente accade, il motore potrebbe anche essere di natura individuale. Bisogna fare attenzione a quello che si desidera. Ma Padre Paul Hill e molti degli isolani probabilmente non hanno visto Il Corvo.
 
Il bene e il male hanno confini nebulosi, di conseguenza la stessa interpretazione delle Sacre Scritture sembra non potersi affrancare da un’ambiguità di fondo: la parola di Dio può essere fraintesa e piegata ai propri scopi. A Crockett Island tale ambiguità interpretativa, la machiavellica manipolazione della fede, conduce a conferire, paradossalmente, carattere di santità al male stesso.
 
Non da tutti, per fortuna. Sembra resistere, infatti, per alcuni la possibilità di riconoscere il male e di opporsi alle sue tentazioni.


"God loves him. Just as much as he loves you, Bev. Why does that upset you so much?"
 
Qualcosa di terribile aleggia, nel vero senso della parola, è il caso di dirlo, sull’isola, ma è indubbio che la componente horror dell’opera sia rappresentata in toto dal personaggio di Beverly “Bev” Keane (Samantha Sloyan), una donna sinistra, in grado di rappresentare l’ambiguità della fede, tra fanatismo religioso e la più abietta combo di ipocrisia e bigottismo. Massima esponente del finger pointing, Bev Keane è il classico personaggio che potrebbe argomentare sul perché sia moralmente giusto preferire una Margherita ad una Diavola (!) recitando a menadito, a mo’ di supporto, un passo degli Atti degli Apostoli e, al contempo, attuare una fine manipolazione del prossimo per i propri fini personali, declinando la religione a proprio uso e consumo con la presunzione non solo di essere nel giusto, ma di essere l’unica in grado di riconoscere, comprendere e anche attuare il disegno di Dio. Non importa se ciò implichi fare un uso improprio di veleno per topi o arricchirsi sfruttando l’ignoranza e/o generosità altrui. “Dio è con me”, chissene degli altri: la misura della natura del personaggio è presto delineata.
 

In conclusione, cosa fa di Midnight Mass un’opera meritevole di attenzione? Attraverso un impianto narrativo che centellina elementi sinistri e “di paura” con una lentezza a cui nella nostra fetta di pianeta forse non siamo più abituati, Midnight Mass, riducendo ai minimi termini, si concentra sulla natura umana e il suo rapportarsi con l’insondabile. A metà tra una sessione di catechismo e una lezione di filosofia, attraverso una dialettica lontana anni luce da quella alla Beavis and Butthead, Midnight Mass sembra suggerire che sì, certo, ci sono “attori” che sono ambasciatori del male da contratto, per loro natura e/o per banale opportunismo, vedi la creatura incontrata nella grotta da Monsignor Pruitt, detta ‘a Criatura, ma ciò su cui si medita qui è sempre lui, l’essere umano.

 
Da non dimenticare il monito di questa storia, vale a dire la raccomandazione di porre molta attenzione ai luoghi di pellegrinaggio dei religiosi del proprio paese. La proloco di Arma di Taggia, nota meta turistica di ottuagenari giunti dalle metropoli per godersi un po’ di mare, pare voglia sfruttare l’opera assicurando che da loro certi incontri non si fanno. Al massimo ci si imbatte nella sosia di Nilla Pizzi per la serata danzante in hotel, ma comunque non vola.